Ciao! Benvenute e benvenuti ad una nuova puntata di Distrazioni, la prima del mio mese preferito, quello della meteoropatia galoppante, certo, ma anche della primavera e del mio compleanno.
1. Con l’aumento dei giorni da pendolare dell’ultima settimana ho avuto più tempo da dedicare all’ascolto, così ho iniziato e finito le 6 ore e 34 di Lessico famigliare, di Natalia Ginzburg. Gli audiolibri sono delicati, dato il filtro della voce tra autore e lettore, per cui sono ancora più felice di essermi innamorata del libro anche grazie a Margherita Buy, che non avrei più voluto smettere di ascoltare. Mi mancava questo pilastro della letteratura del Novecento, dove la Storia s’intreccia alle storie di Peppino e Lidia Levi, ebrei antifascisti, e dei loro cinque figli. Fa tenerezza vivere i grandi avvenimenti attraverso i modi di dire, le parole della microsocietà famigliare; fa sorridere scoprire l’intimità del vocabolario domestico di qualcuno che aveva per amico Cesare Pavese e Adriano Olivetti. È come entrare dalla porta di servizio di una villa che hai sempre guardato da lontano perché tanto ormai sei di casa, invitata a una cena piena di vita.
2. Il mese scorso sono stata alla presentazione di Problemi, il primo libro di Jonathan Zenti, e ora sono qui perché finalmente ho avuto modo di leggerlo (divorarlo, in realtà). 12 capitoli, ciascuno dedicato a un problema raccontato passando per l’esperienza - e la sensibilità culturale - dell’autore (i miei preferiti: Problemi con l’attivismo, Problemi con le domande, Problemi con la terapia, Problemi con il corpo). Se qualcuno non l’avesse fatto, l’accesso più comodo al mondo di Zenti è proprio attraverso il podcast da cui tutto è nato.
3. Da qualche giorno al Bar Magenta (storico locale milanese pieno di fascino) sono esposte alcune stupende opere del mio amico yyurize.
4. Abbiamo finalmente guardato Bones and All e, contro ogni aspettativa (in particolare la mia), non mi è piaciuto granché. Quello che non sono riuscita a capire è se c’era qualcosa da capire. Dall’originalità del tema credevo di trovare una proporzionale profondità, invece mi è sembrato di assistere e degli enormi salti di trama che in conclusione hanno prodotto una storia di adolescenziale romanticismo. Estetica, musica, cast…tutto pazzesco, ma in sostanza? Sento più che mai la necessità di conoscere le vostre opinioni. Scrivetemi!
5. Premessa: non ho mai giocato a The Last of Us e non mi hanno mai coinvolta i film su pandemie e scenari post apocalittici, ma in questi giorni abbiamo recuperato le puntate dell’omonima serie uscite finora, e non mi ricordo l’ultima volta che ho pensato oh no, cosa farò dopo? È troppo bella. Tra le tante cose, adoro che ogni puntata si soffermi e approfondisca una storia diversa all’interno della stessa grande narrazione, così c’è il tempo di affezionarsi a tutti e ogni sensazione è amplificata.
6. Julia Yus fa cose molto simpatiche con la carta (segnalo anche questo hamburger).
7. Dall’ultima fashion week parigina, 30.000 cristalli Swarowski ed ecco il capolavoro (uno dei tanti di Robert Wun).
8. Per la rubrica ricette buone, qui un ramen già testato più volte, a cui io sostituisco la lonza col seitan tagliato a fettine e fatto saltare in padella con olio e salsa di soia, e questo spezzatino vegetale. Comfort food livello 100 🍲
9. A proposito di cibo, impazzisco per questi video anime.
10. Domenica abbiamo inaugurato la nuova stagione dei giretti in moto e siamo andati ad Arona, sul Lago Maggiore. Andrea aveva la curiosità di vedere la statua dedicata a San Carlo Borromeo, perché dalle foto su Google sembrava immensa. Quando siamo arrivati in effetti è stato abbastanza sorprendente (allego diapositiva), tanto che ho esclamato: sarà grande quanto la Statua della Libertà. Poco dopo abbiamo scoperto che effettivamente le è seconda per dimensioni, ma soprattutto che lo scultore del monumento newyorkese è stato ad Arona per studiare il colosso di San Carlo (così si chiama ufficialmente), e che a questo è stata dedicata una targa posta ad oggi proprio sul piedistallo della Statua della Libertà.
È arrivato il momento di Note a piè di pagina, l’appuntamento di musica e storie a cura di Federico Anelli.
Talk Talk - The Rainbow (1988)
Ci sono dischi che non sono dischi, ma esperienze da provare almeno una volta nella vita. Come il cammino di Santiago, la gricia, un volo in deltaplano, Moby Dick, il peyote o 2001: Odissea nello spazio. Di questo parliamo, quando parliamo di Spirit Of Eden, l’album con cui i Talk Talk mutano pelle, abbandonando il passato synth-pop (It’s my life, vi dice qualcosa?), per iniziare un viaggio spirituale nel deserto, tra sabbie colorate e silenzi. E se scrivere di musica è come ballare di architettura, qui più che mai ogni tentativo di raccontare questo pezzo d’arte (per una volta, di questo si tratta) sarebbe un fallimento in partenza. Allora per quale motivo sono qui a parlarvene, direte voi? Perché vi voglio bene e non mi va che viviate la vostra vita con un vuoto. Specie se riguarda il disco che del vuoto ha fatto meraviglia. Non è infatti un caso se dietro tanta bellezza si nasconda il genio di Mark Hollis, che dell’uso del silenzio in musica è il re. Prendete l’iniziale The Rainbow, per esempio: un fluire di vuoti e pieni che attraversa infiniti mondi musicali, senza appartenere a nessuno. Ma ho già speso troppi caratteri, la maggior parte inutili. Spegnete la luce e fate buon viaggio.
(Purtroppo su Spotify esiste solo il Remaster, chiedo venia).
Anche per questa volta è tutto, statemi bene e osservate gli alberi che stanno sbocciando.
Se ti è piaciuta questa newsletter puoi inoltrarla o, se sei tu la persona a cui è stata inoltrata, iscriverti per riceverla ogni martedì nella tua cassetta di posta digitale.
Pensieri, opinioni e considerazioni sono sempre graditi. Per lasciarmi una traccia del tuo passaggio puoi rispondere a questa mail, scrivermi su Instagram, passarmi a trovare sul blog o mettere un bel like ❤️ Il mio portfolio invece è qui.
Alla prossima settimana,
Veronica