Ciao! Oggi voglio iniziare con un benvenuto ai tanti nuovi iscritti delle ultime settimane e un grande GRAZIE per la partecipazione. La cerchia si sta allargando ma non do mai per scontata la vostra presenza qui, per cui credetemi, ogni feedback sotto forma di messaggio, pacca sulla spalla o like ha un bell’impatto sulla mia motivazione. Bene, si comincia.
1. Cerco il più possibile di non riproporre contenuti presenti in altre pubblicazioni, ma l’articolo condiviso nella newsletter di Conosco un posto di venerdì mi è stato talmente di sollievo che ho pensato di fare un’eccezione. In How we learned to be lonely la tesi è semplice: dalla pandemia, la solitudine è diventata un’abitudine. L’infelice stato d’animo descritto nel pezzo per me non è stato una sorpresa, ma non immaginavo la sua diffusione: il 59% degli intervistati ha confermato di non essere tornato alle consuete attività pre-pandemiche, il 35% sostiene di trovare la socialità meno importante, solo il 9% prova disagio a stare fisicamente vicino ad altre persone, ma il 29% ha l’ansia di non sapere come interagire o cosa dire. La solitudine viene paragonata in modo abbastanza forte alla povertà e all’essere senza tetto in quanto condizione che si autoalimenta: così com’è difficile reintegrarsi quando non si ha una casa, un indirizzo, un numero di telefono, così l’isolamento sociale porta a comportamenti che generano altra solitudine.
There is no law of nature saying that if you wait long enough, you will be happy again. You must proactively manage your own environment.
Non esiste una legge di natura per la quale, se si aspetta abbastanza a lungo, si tornerà a essere felici. Dovete essere voi a gestire proattivamente la condizione in cui vi trovate.
To break out of the cycle, you might need to try an “opposite signal” strategy. Your inertia probably tells you that getting dressed and going to work will be a hassle, and that inviting someone over for dinner will be uncomfortable. You should do these things anyway.
Per spezzare il cerchio potreste dover provare con una strategia di “segnale opposto". La vostra passività probabilmente vi dirà che vestirvi e andare al lavoro sarà una scocciatura e che invitare qualcuno a casa per cena vi provocherà disagio. Dovreste farlo comunque.
Insomma, trovo confortante il pensiero che, in fondo, si tratta “solo” di modificare un’abitudine.
2. Non ci sono molte cose che mi fanno genuinamente ridere ma ho già ascoltato due volte questa intervista di Tintoria a Zerocalcare e ne vorrei ancora.
3. A proposito di cose da ascoltare, qui una breve ma interessante intervista a Marco Missiroli sul suo Avere tutto. Non l’avevo mai sentito parlare e mi ha sorpresa perché ho trovato che il suo tono di voce e modo di esprimersi fossero perfettamente coerenti alla sua scrittura.
4. Quanto sono incantevoli i tableaux vivants della compagnia teatrale di Ludovica Rambelli?
5. Siamo andati a vedere Avatar. La via dell’acqua in 3D e siccome non trovo che ci sia una grande trama di cui parlare (a posteriori, il trailer mi sembra un riassunto abbastanza esaustivo), condivido ciò che mi ha colpita di più: il paesaggio marino di una bellezza sconvolgente e l’emozione per il ruolo degli animali, che poi sono le uniche due cose che mi hanno coinvolta e hanno fatto filare tre ore abbondanti di proiezione. Ora attendo solo il Come c***o hanno fatto della Slim Dogs, che qualche settimana fa ci ha deliziati con il contenuto sul primo Avatar. Mi dispiace comunque che un film di questo calibro risulti più interessante dal punto di vista estetico-tecnico, mi pare un’occasione sprecata. Poi magari sono io che non ho la pazienza di vederlo solo come una grande anticipazione dei prossimi episodi, non so. Cosa mi dite voi?
6. Rimanendo in tema animali, a casa abbiamo apprezzato i tre episodi de L’isola dei lupi, documentario sull’isola di Vancouver che ha per protagonisti lupi di mare, lontre (tenerissime e super intelligenti. Cioè: appoggiano un sasso sulla pancia mentre galleggiano per rompere le vongole e poterle mangiare - dato che devono ingerire 7kg di molluschi al giorno. Scusate l’approfondimento ma mi sembrava notevole), aquile, orsi, con brevi comparsate di salmoni, orche assassine e marmotte. Ho scritto “a casa” perché anche il nostro micio ha dimostrato per la prima volta interesse per la tv. Avete presente quei video in cui i gatti provano a prendere i pesci che vedono a schermo? Lui uguale, ma con i lupi.
7. Abbiamo guardato Il professore e il pazzo, storia vera dell’incontro tra un erudito autodidatta e un ex chirurgo dell’esercito americano rinchiuso in un manicomio criminale. Ciò che li unisce è la prima redazione dell’Oxford English Dictionary. Non avevo mai pensato cosa comportasse lavorare a un dizionario nella fine dell’Ottocento, con libri e missive come unici mezzi per reperire le informazioni, ma nel film è descritto in modo veramente appassionante. Sono due ore dense, dove un tema scivola nell’altro e alla fine tutto viene a contatto, e se c’è qualche cliché, per quanto mi riguarda è comunque mitigato dalla consapevolezza di essere di fronte a dei fatti (incredibili).
8. È passato qualche anno da quando l’ho messa in lista ma finalmente ho iniziato la prima stagione di Euphoria e, come predetto letteralmente da chiunque, mi sta facendo impazzire. Il teen drama con protagonista Rue, tossicodipendente in riabilitazione (magnifica Zendaya) nonché voce onnisciente della narrazione, alza il velo sull’adolescenza e scopre i mostri che ci abitano dentro. È uno strano equilibrio, quello che si può generare tra il dolore e il glamour, ma è vero che ai tempi del liceo i confini sono più fluidi che mai.
9. Ho finito di leggere I miei giorni alla libreria Morisaky e il commento che mi sono appuntata è stato: onesto. Mi è sembrato di avere per le mani la bella sinossi per un film (film che per altro dovrebbe esistere), per il resto ho sofferto lo stile iper asciutto e razionale che ho riscontrato in tanti autori giapponesi. L’atmosfera, i personaggi, i paesaggi: tutto sembra rimanere in potenza. C’è da dire che l’estrema semplicità e i fatti rapidi la rendono una lettura comoda, e a me di sicuro ha tenuto compagnia anche con gli occhi stanchi nei rientri in treno.
10. La scorsa settimana ho avviato un nuovo thread in chat in cerca d’ispirazione e una lettrice ha condiviso Sei pezzi facili di Mattia Torre, che conoscevo solo grazie all’audiolibro (In mezzo al mare. Sette atti comici) ma che non avevo mai visto recitati. Che dire, grazie Sara.
Vi va di unirvi alla conversazione? La contaminazione è benzina per le Distrazioni.
Per concludere, godiamoci il nuovo pezzo di Federico Anelli per Note a piè di pagina.
Woods - Can’t see at all (2016)
Il quesito esistenziale di questa settimana è: si può giudicare un disco dalla copertina? Di certo, la storia è piena di grandi album con artwork discutibili. Ma è altrettanto vero che una bella cover difficilmente si accompagna a musica mediocre. E in questo caso, infatti, siamo davanti a una copertina meravigliosa, quella del nono album dei Woods. Chi erano costoro? Band newyorkese di nascita, ma col cuore che batte sulla West Coast. Melodie baciate dal sole dell’ovest, con una passione per certo folk psichedelico degli anni ’60-’70. Del resto, cos’altro aspettarsi da un titolo come City Sun Eater in the River of Light? E allora preparatevi a tuffarvi come novelli Dumbo allucinati in questa parata di elefanti rosa, tra pennellate afro-jazz e funk, senza mai scordare l’importanza di una buona melodia pop - e non a caso qui gli esempi crescono come funghi, anzi funghetti (ah ah ah). Can’t see at all è un perfetto assaggio per iniziare a immaginare il resto del menù. Come sempre, spero di avervi messo un po’ di fame.
Se ti è piaciuta questa newsletter puoi iscriverti per riceverla ogni martedì nella tua cassetta di posta digitale.
Pensieri, opinioni e considerazioni sono sempre graditi. Per lasciarmi una traccia del tuo passaggio puoi rispondere a questa mail, scrivermi su Instagram, passarmi a trovare sul blog o mettere un bel like ❤️
Alla prossima settimana,
Veronica